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   " Andar per stelle"                  

Per chi come Cesare Berlingeri emerge nel mondo dell'arte all'inizio degli anni Settanta, si verifica una condizione ambigua, peraltro condivisa da buona parte della sua generazione. Da un lato il convincimento che non si dà opera se non a condizione che si incontrino la componente etica con la piacevolezza estetica. Il gesto dunque non può mai essere fino a se stesso, gratuito, effimero, bensì esprimere la condizione dell'artista, darne ragioni più che informazioni. E' un'idea della creatività necessaria e motivata, che rifugge da qualsiasi teoria o tentazione dell'art pour l'art.

D'altra parte però una figura come quella di Berlingeri assiste, da protagonista, alla netta cesura tra moderno e postmoderno e dunque il suo lavoro si muove esattamente a cavallo tra queste due sensibilità epocali. Al dogma di un'arte militante, che rifiuta la storia e anzi tenta costantemente di ribaltarla, si sovrappone un nuovo modo ben più dialettico, che contempla il passato e lo ingloba recuperando anzitutto la piacevolezza, il senso del gioco, il mot d'esprit senza colpevolizzarsi in alcun modo: tornano la manualità, le immagini, il sapere, il godimento estetico. Berlingeri è tra quegli artisti cui piace fare arte, ne trae godimento, benessere e si preoccupa di trasmetterlo agli altri.

Per "sposare" questa controrivoluzione Cesare Berlingeri ha dovuto, prima di immergersi nella pittura, rifiutarne i presupposti, le convenzioni e il luogo comune che, in epoca di ultima avanguardia, la considerava forma espressiva piccolo borghese comunque lontana dalle ricerche più innovative. Quella dei suoi inizi è una fase residuale della pittura, come "triturata" dallo spazialismo di Fontana e approdata, ultima possibile deriva, al monocromo nelle sue diverse e quasi infinite variazioni: l'Achrome di Manzoni, il minimalismo americano, le colature a smalto di Mario Schifano, punto d'incontro tra la matrice dell'Espressionsmo astratto e il Pop. "Monochrome Malerei", installata a Leverkusen nel 1960, è la mostra chiave di un'intera generazione per provare a darsi la risposta all'interrogativo "dove va la pittura?". Verso il suo annullamento o alla ricerca di una possibile ridefinizione?

Per fortuna la componente darwiniana, la linea evoluzionista dell'arte non ha prevalso e dunque all'estremo rigore del monocromo si è a un certo punto sovrapposto il ripristino delle immagini, il ritrovato calore, l'inseguimento di un'armonia. Negli anni Ottanta, un decennio di nuovo importante per l'arte italiana, non c'è solo la figurazione della Transavanguardia, ma anche la vigoria del colore in senso antirealistico e non narrativo. Proprio in questo confine matura la poetica di Berlingeri, capace di sintetizzare le due anime (schematizzando, quella più fredda del ragionamento, della speculazione, e quella più intima, sensibile, che appartiene alle ragioni del sentimento e della poesia).

Va precisato che se non si parlasse di un artista italiano probabilmente Berlingeri non risentirebbe di questo positivo dualismo, di tale apparente contraddizione: proprio questa risulta la sua maggior forza, entrare e uscire da un mondo per approdare a un altro, il che funziona perfettamente da strategia per non farsi catturare ne definire troppo frettolosamente.

"Andar per stelle" non è una mostra antologica e pertanto rifiuta l'andamento cronologico che sarebbe vano in Berlingeri; gli piace infatti ritornare a distanza su oggetti e opere cominciate magari anni fa e mai completamente risolti. Nel suo studio di Taurianova (che ho visitato nonostante la distanza da Torino e i quattro voli a/r in meno di 24 ore) si mescolano lavori di periodi diversi che potrebbero essere stati realizzati oggi come un decennio fa e continuano a funzionare non invecchiando perché Cesare agisce sull'idea di pittura, puntando al nucleo, all'essenza e, letteralmente, piegandola al proprio credo e alla sua volontà.

E' invece una mostra suddivisa in stanze, ciascuna indipendente dalle altre e pensata per il dialogo e l'interazione, in un sapiente dosaggio tra pensiero ed emotività. Si comincia con una riflessione sui quattro elementi, che detto così può apparire un tema anche banale o quantomeno abusato, ma Berlingeri rifuggendo dal realismo e dal contingente si domanda come e in che modo la natura entri a far parte di un lavoro che in apparenza non rivela alcun debito. Inutile aspettarsi l'emergere del simbolo, del tutto fuori registro per l'artista calabrese; quando il soggetto è forte lui tende ad asciugare, depauperare, arrivare alla sintesi estrema, questa si di derivazione minimalista, lasciando flebili tracce appena accennate che lo spettatore, con il suo sguardo e la sua cultura, è chiamato a completare.

Carbone argento è il titolo della seconda sala e prende spunto dai materiali usati e dalla resa monocroma sporca, profondamente materica. Laddove non c'è immagine o riferimento al reale l'opera supplisce all'assenza e si scalda, si umanizza, esce dai binari del pensiero per colpire sotto la cintura dell'emozione. E del minimalismo rimane appena il ricordo. Personalmente è il Berlingeri che preferisco, quando affida l'innato lirismo non al gioco delle suggestioni ma alla potenza delle idee.

Entrando nella terza sala siamo al cuore della mostra, l'Andar per stelle che quasi trasferisce nel gruppo di tele blu l'assioma kantiano espresso nella "Critica del giudizio": il sublime sta nella legge morale dentro di me e nel cielo stellato sopra di me. Questi dipinti, davvero belli e suggestivi, sono mappe di corpi aerei e senza consistenza, dove l'artista scrive le sue costellazioni immaginarie, figlie del caos entropico che ci sovrasta. Andar per stelle in fondo è la condizione dell'uomo sensibile alla ricerca di se stesso nell'universo, una sorta di intermezzo poetico che esprime il suo infinito desiderio di libertà.

La quarta sala esce dalla bidimensione e affronta lo spazio nella sua complessità. Berlingeri chiama questi lavori "Meteore" in riferimento ancora alla lezione di Fontana che non a caso considera il suo punto di partenza. Ma rispetto al 1948 e dintorni, gli anni dello Spazialismo e del Manifesto Biancom la nostra prospettiva e la nostra percezione è del tutto mutata: è finita l'epoca in cui esplorare l'altrove costituiva una priorità, oggi ci troviamo davanti al problema di lasciare le nostre di tracce, semmai qualcuno si periterà di coglierle. Come nella precedente stanza, Berlingeri dà qui sfogo al piacere della scrittura, una grafia talora inintelligibile, che cerca altri codici per comunicare, non quelli consueti, abituali e raziocinanti.

Nella quinta stanza siamo nei dintorni di un a rebours per oltre trent'anni di carriera di un artista serio e talentuoso, una sorta di piccola retrospettiva che spiega le radici di un percorso e le ragioni di una scelta rigorosa eppure sempre in dialogo con l'emotività dell'autore. Giustamente questa sezione  non è posta all'inizio della mostra bensì all'interno del percorso proprio perché fornisce quei rimandi e quelle informazioni necessarie a spiegare e capire gli sviluppi nel presente. Una scelta che fece anche Giulio Paolini alla GAM di Torino nel 1999 intitolata "Da oggi a ieri" ovvero l'opposto concettuale di una retrospettiva. I lavori storici rivelano un Berlingeri più hard edge e rigoroso, severo e profondo, che dialoga allo stesso modo e con la stessa intensità con Barnett Newmann e Tano Festa di cui era grande amico, frequentato in particolare negli anni del soggiorno romano.

L'atto finale è la "Stanza rossa", il colore che Cesare predilige e ama, che gli restituisce quella componente emotiva mai peraltro sopita. Topos cromatico e letterario, il monocromo rosso appartiene al regno della suggestione che Berlingeri vorrebbe sempre evitare se non strettamente necessaria. Ma si permetta la forzatura al curatore, appassionato del lirismo rigoroso del Maestro, sedotto dal gesto di piegare la pittura, restituire un corpo altro, di forme femminee e generatrici di vita.


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