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conTESSA

Soraya Tarzi, the damascus girl crowned Queen of Afghanistan

  • Anno: 2019
  • Tecnica: Olio su tela incluso in PMMA (C5H8O2) riciclato, legno, foglia oro e bronzo dipinto
  • Riferimento: 15
  • Dimensioni: L: 70cm xA: 90cm xP: 8cm

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Opera: Soraya Tarzi, the damascus girl crowned Queen of Afghanistan

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“Soraya Tarzi, The Damascus Girl Crowned Queen of Afghanistan”

 

L’opera racconta e si fa narrazione visiva ricolma di conoscenza, una favola antica, dal sapore di venti orientali, dalle calde immagini dalle mille e una notte. È una storia recente che ritorna in vita con l’opera di conTESSA, un momento ora quasi dimenticato e che l’immagine presentata rivela in una composizione lineare tra figurativo e mondo astratto.

Il racconto parte da lontano, dal secolo scorso, quando una donna, Soraya Tarzi, diventa regina di un popolo e di un paese dalla storia millenaria.

Soraya nasce in Siria nel 1899 educata da un padre intellettuale, filosofo, poeta, politico e funzionario dell’Impero ottomano. Conoscerà Amanullah, il figlio dell’emiro afghano e si sposeranno nel 1913 e l’ascesa al trono nel 1919 del marito farà di lei la nuova regina del paese.

È una regina incontrastata, il marito non prenderà altre mogli anche se la tradizione lo permetterebbe, rimane accanto al suo re nelle discussioni giudiziarie ed è nominata ministro dell’istruzione.

Apre per suo volere una scuola femminile con istruzione non religiosa, influenza il marito con scelte politiche facendo decretare leggi contro i matrimoni tra minori, con il diritto alle donne di poter scegliere i loro mariti, obbligando all’istruzione tutti i bambini.

Nel 1928, durante un discorso del marito in cui scoraggiava la pratica delle donne che indossavano hijab, niqab o burkha, Soraya rimosse pubblicamente il suo velo e si rivolge ai capi tribali e religiosi che la ascoltavano stupiti.

Il suo esempio cambiò lo scenario della società afghana nella capitale, anche se i detrattori conservatori nel 1929 non tardarono a farsi sentire e con le loro voci minacciarono l’emiro alla deposizione: i ribelli chiedevano il divorzio e l’esilio per Soraya.

Ma re e regina, marito e moglie, fuggirono insieme e si rifugiarono prima in India e poi in Italia fino alla morte nel 1968.

Soraya, regina dell’Afghanistan, una delle prime femministe al mondo, illuminata e seppellita dalla storia afghana è ricordata nell’opera da conTESSA che ne coglie la forza, l’audacia e la delicatezza di donna amata e operosa per il suo popolo, per le donne, per il paese.

Nell’opera compare una cornice alternata tra la preziosità dell’oro lucente e un rosa antico, pallido, come i volti nascosti di tante donne di allora e, purtroppo, drammaticamente ancora attuale.

Il nascondersi sotto un velo, tra il rosa e l’oro decorativo, è marchiato e alternato da sottili linee nere: è il simbolo di una prigione che segna la vita di tante donne in una sorta di gabbia dorata in cui molte sono costrette a vivere nel quotidiano.

La tela al centro si trasforma in un magma lavico eterno, una nebbia che con la sua coltre non lascia vedere ciò che è rappresentato: è la storia fatta dagli uomini e dal potere che cancella i volti del passato di cui restano ferite aperte riempiete e rimarginate con altro simil oro, un materiale che vuole apparire prezioso, ma è falso, atto a nascondere ciò che sta sotto la superficie.

È il volto della regina quello che si vuole eclissare, quello che “bisogna” dimenticare in mezzo a colate di materia stratificata, ma l’oscurantismo è vano, il ricordo riemerge e si fa oggi più forte, è un sussurro che diventa grido.

La storia non dimentica e, anche quando la si vuole scordare, si ottenebrano le immagini, ma restano i segni di ciò che si è seminato, di ciò che si è compiuto e la regina Soraya svetta, in alto sulla destra con un suo piccolo fumoso ritratto di spalle, volge appena lo sguardo al passato perché consapevolmente proiettata verso il futuro di un paese che prima o poi saprà risollevarsi e avere altre Soraya pronte alla lotta. Il piccolo ritratto è la versione ridotta del dipinto che si cela sotto la lava incorniciata: un macrocosmo che si ripete in un microcosmo di cui resta visibile un’impronta, un’immagine che si fa segno.

Nella Gerusalemme celeste ferro e bronzo, simboli di dolore e oppressione, saranno sostituiti dall’oro e dall’argento, metalli nobili e preziosi simboli di pace e giustizia.

Materiali di cui troviamo una traccia, un segno che rimane come nella rosa in seta nera in bronzo dipinto ai piedi della cornice a simboleggiare la delicatezza e la fragilità di altre donne contemporanee chiuse in nuove gabbie dorate, nascoste da veli neri impietosi che celano la bellezza e la preziosità di un corpo, di un volto, di un grido alla vita.

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